La morte è un argomento scomodo.
Non ne parliamo mai a cena o durante i nostri aperitivi social.
La nostra società sembra lavorare alacremente per allontanare il pensiero della morte dalle nostre vite.
La nostra società ci spinge a consumare, a comprare, e a lavorare per poter mantenere quello che abbiamo comprato e per comprare ancora.
Come si fa allora a vendere la cosa di cui non si deve e non si può parlare, a cui non bisogna pensare? Come si fa a vendere la morte?

Renato Cane sta per morire. Ce lo dice subito. E ci fa ridere.
Un uomo qualunque scopre di avere un tumore e la sua vita precipita.
Entra in una assurda agenzia di pompe funebri dove promettono di vendere l’eternità.
Le pitture schiacciate che una bimba gli vende saranno la sua unica consolazione.
Poi un colpo di scena, che non allevierà la solitudine in cui precipita grottescamente.

Renato Cane è un uomo qualunque che ci racconta la sua storia.
Forse è un pretesto per farci delle domande, le stesse che gli vengono poste dall’assurdo responsabile delle pompe funebri “Trombe del Signore”:
Tu credi, Cane?
Che cos’è lo spirito, Cane?
Ti piace la tua vita, Cane?
Sei proprio sicuro, Cane, che vivere sia meglio che morire?
Qual è la cosa che ti piace fare di più nella vita, Cane?

Forse la malattia stessa del Signor Cane è solo un pretesto per parlare di quanto il consumismo, la pubblicità, i soldi, ci mangino la vita.

Ed è attraverso un altro pretesto, quello della finzione scenica del monologo teatrale, che grazie a Renato Cane anche noi siamo obbligati a riflettere su queste domande.
Mentre ridiamo del nostro protagonista, mentre proviamo compassione (patiamo assieme a lui) per un Cane qualsiasi.
Perché bisogna essere leggeri per fare domande del genere, per riflettere su questi argomenti, perché ogni tanto fa bene farlo. Ma bisogna poterne ridere. Ridere di un Renato Cane qualunque che muore.
E’ una storia assurda, grottesca, la sua.
Che muore da solo, come un cane appunto.
Come tutti noi, per quanto duro da accettare, prima o poi.
Allora tanto vale riderne e, grazie al teatro, riscoprire che tutti siamo dei potenziali Renato Cane, e magari uscire dopo un’ora un po’ più felici e sollevati per la vita che ci è concessa.

Vinicio Marchioni