Letture da Genesi, Eschilo,
Simone Weil, Lord Byron,
Goethe, San Paolo.

Il Titano Prometeo è il protagonista di una nota trilogia legata di Eschilo che comprendeva: Prometeo Portatore di fuoco, Prometeo Incatenato, Prometeo Liberato. Di queste tragedie ci è rimasta solo quella centrale: Prometeo Incatenato.
Prometeo (pro + mèthis) è il Titano più intelligente della mitologia greca; il suo è un nome parlante, nomen omen, il nome stesso è un presagio, il suo destino già scritto nel nome, che letteralmente significa “colui che pensa prima”, perché prevede il futuro, perché anticipa sia il pensiero dei comuni mortali, sia quello di Zeus stesso. La sua ribellione è passata nell’accezione comune della definizione di “prometeico” colui che eroicamente e fino alla morte si batte per una causa che ritiene giusta al punto da mettere a rischio se stesso.
Prometeo incatenato da Zeus ad una roccia ai confini del mondo, Zeus che a differenza dell’intero corpus eschileo qui non è il Dio garante di Giustizia, ma un infame persecutore, resta altezzoso simbolo del titano che combatte a difesa degli uomini con determinazione, coraggio e generosità, in spirito di estrema compartecipazione con il destino umano.
Al centro del recital infatti non c’è solo il Prometeo incatenato riconosciuto dal mito, ma un uomo, un uomo solo, che si interroga e si arrovella, quasi si divora, nella sua incontenibile esigenza di dialogo con uomini e dei, nel chiedersi ossessivamente cosa sia il Bene e cosa sia il Male, interprete dell’eterno afflato di assoluto che contraddistingue propriamente la nostra natura umana, e si dibatte nella presunta colpa di aver voluto carpire ciò che deve restare Mistero.
Un uomo più simile ad Adamo che scopre la paura e il pudore della propria identità mangiando il frutto dell’albero della conoscenza, e che ritorna ossessivamente a parlarci con le parole di Prometeo che rubò il fuoco a Zeus, proprio per amore degli uomini.
La lettura racconta l’eterno supplizio con cui venne ricambiato, il castigo divino con l’aquila di Zeus che gli divora eternamente il fegato che diviene metafora della coscienza dell’incapacità della stirpe degli uomini di usare tecnica, arti e potere per il Bene.
Quest’uomo che si nutre dei suoi stessi dubbi, evocando domande che si ripetono da millenni nella storia della letteratura, in un percorso drammaturgico in cui si confrontano mito biblico e mito greco, cerca attraverso le letture proposte di comprendere con il pubblico il perché Adamo e Prometeo abbiano disobbedito e perché gli uomini tradito le promesse di salvezza fornite da Dio e dal dono della ragione e della tecnica.
Prometeo nel percorso drammaturgico del recital, con citazioni di Simon Weil, Goethe e Byron in una contestualizzazione storica che ci può fornire altre chiavi di lettura, diviene il simbolo stesso della condizione esistenziale umana, della sfida alla legge divina ed umana, ma è anche metafora del pensiero libero, svincolato dal mito e dalle false e bugiarde mitologie.